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L’importanza del capitale sociale nella ricerca del lavoro

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La teoria del capitale sociale è stato un tema d’indagine cardine per la sociologia americana degli anni 70’ fino agli anni 90’. Tra i più famosi sociologi che se ne sono occupati troviamo Pierre Bordieau, tra i padri fondatori della psicologia sociale e James Coleman ed il collega Robert Putnam che hanno sviluppato due diversi approcci, uno individualista e l’altro collettivista, intorno a questo concetto. 

Ai fini di questo articolo non sarà necessario andare a sviscerare le teorie dei due sociologi, prenderemo solo loro in prestito la definizione di capitale sociale. 

Il concetto di capitale sociale ha origine in campo economico, solo successivamente la psicologia sociale, che si occupa di indagare il rapporto tra individuo e società, ne ha mutuato il termine per esporre un particolare attributo del vivere sociale umano. 

Ogni individuo, infatti, stringe relazioni nel corso della sua vita, una rete fatta di legami più o meno forti, il cui funzionamento è sorretto da regole sociali ben precise delle quali la reciprocità è tra le principali. 

Il capitale sociale allora è “la somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento” (Pierre Bordieu) 

La partecipazione ad una rete di relazioni permette agli individui di accumulare risorse, più o meno tangibili, che vanno dalla sfera materiale a quella dei valori. 

Ciascuno di noi, secondo questa teoria, è portatore di un suo capitale sociale più o meno ampio a seconda di quanto abbia avuto modo di allargare le maglie della sua rete relazionale. 

Dal capitale sociale si ottiene qualcosa, in qualche modo serve all’individuo, non solo perché contribuisce alla formazione della sua personalità, ma anche perché gli consente di trarre dei vantaggi dai legami che lo compongono.

Un altro celebre sociologo, Mark Granovetter, negli anni 70’ aveva analizzato la natura dei legami sui quali si basano i gruppi sociali umani e ne aveva teorizzate due categorie:

  • Gruppi a legami forti o gruppi chiusi
  • Gruppi a legami deboli o gruppi aperti 

I gruppi appartenenti alla prima categoria hanno legami interni stretti, basati su un forte senso di appartenenza e reciprocità ma anche su un rigido complesso di regole da rispettare per poter continuare ad appartenervi. Sono gruppi chiusi nei quali è difficile entrare ma anche uscire. Si basano su contatti frequenti ed esclusivi, assicurano una rete solida in caso di bisogno, offrono stabilità e supporto, l’individuo che ne fa parte ha alti livelli di riconoscimento ma sono chiusi rispetto al resto della società. Le sette o le bande sono esempi estremi di gruppi a legami forti. 

I gruppi della seconda categoria, invece, si basano su legami più lassi, il senso di appartenenza c’è ma non è vincolante e la reciprocità è intermittente. Non ci sono vere e proprie regole interne ma principi ispiratori ai quali i membri si adattano spontaneamente. Sono gruppi i cui confini sono labili e che si estendono facilmente, si può entrare ed uscire facilmente da queste reti anche ripetutamente. I contatti sono meno frequenti ed i membri che ne fanno parte possono far parte a loro volta di altre reti che talvolta vanno a mescolarsi tra loro. Naturalmente difettano per quanto riguarda la coesione interna, all’interno della rete si può trovare supporto ma non c’è sicurezza, il livello di riconoscimento per l’individuo è scarso perché non danno la possibilità di aderire ad un’identità unica e specifica a chi vi appartiene. 

Granovetter identifica nei gruppi a legami deboli una migliore fonte di opportunità per gli individui, in particolar modo per quanto concerne la ricerca del lavoro. 

I gruppi a legami chiusi, infatti, pur potendosi offrire come solido sostegno in caso di difficoltà economiche, mettono a disposizione dell’individuo una limitata lista di contatti dai quali attingere per trovare opportunità. Sono gruppi il cui raggio d’azione è molto breve, non avendo contatti indiretti con altri gruppi se l’opportunità non si presenta all’interno della rete sarà difficile reperirla. 

Un capitale sociale ampio, basato su reti di relazioni a legami deboli, è molto importante in sede di ricerca del lavoro, talvolta può essere ancora più efficace dei canali di ricerca tradizionali come i portali o i centri per l’impiego. 

Prendersi cura della propria rete di relazioni, rendendola vasta ma soprattutto ricca di legami indiretti potrà assicurare una solida strategia per la ricerca di una nuova occupazione, e non solo. [/vc_column_text][movedo_empty_space height_multiplier=”2x”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][/vc_column][/vc_row]

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